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Facebook, attenzione a quel che si scrive

11/10/2017


L'utilizzo dei social network può integrare l'ipotesi aggravata di cui all'art. 595, co. 3, c.p. (per la pubblicità che deriva dalla pubblicazione dei post o commenti offensivi e diffamatori), poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l'agente meritevole di un trattamento più severo che a sua volta può incorrere in aggravanti ulteriori come quelle previste per le offese di carattere discriminatorio raziale, sessuale o quant’altro.

La principale questione che si pone, a proposito di questi reati, è quella più del corretto bilanciamento fra i diritti fondamentali di uguaglianza, rispetto della propria sfera personale, morale religiosa ecc. contrapposti con il diritto di libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e, più in generale, di espressione (artt. 8 e 9 CEDU ).

Al riguardo, la Corte di Strasburgo ha sviluppato un’ampia giurisprudenza che riconosce la legittimità delle menzionate incriminazioni, in quanto necessarie a garantire la tutela di esigenze di rango pari o superiore, nei limiti consentiti in una società democratica.

È opportuno segnalare che la giurisprudenza spesso preferisce ledere il diritto di manifestazione del pensiero e di espressione o di critica a tutela della rispettabilità dell’individuo o, purtroppo, anche al rispetto del pensiero dominante.

I reati c.d. informatici appaiono più temibili presentando una ben più elevata potenzialità diffusiva per cui ricevono una speciale attenzione dalla giurisprudenza e dal legislatore che necessariamente amplifica eventuali diffamazioni o ingiurie con matrice razziale o discriminatoria in generale.

Occorre precisare che ai fini dell’aggravante suddetta il legislatore ha inteso qualsiasi forma di discriminazione cioè ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica.

L'intervento legislativo nazionale è andato oltre inasprendo il trattamento sanzionatorio ampliando l'ambito di tutela estendendo la rilevanza penale a manifestazioni attinenti alla sfera religiosa e mediante l'incriminazione di singoli atti di contenuto discriminatorio accanto alle condotte di incitamento o di provocazione di altri.

La repressione penale di singoli "atti" discriminatori, realizza la tutela preventiva volta ad evitare una potenziale propagazione a livello sociale di una mentalità razzista in senso lato e un intervento repressivo nei confronti di coloro che, seppure in forma isolata, pongono in essere un comportamento idoneo a sottoporre anche un singolo individuo ad una disciplina differenziata.

Purtroppo nella pratica vi è un labile confine tra quello che è diritto di espressione e quello che configura ingiuria o diffamazione che ledono il diritto all’onore.

Tali principi di carattere generale assumono particolare significato se applicati nella società attuale che sta trasformandosi in multirazziale a seguito dei flussi migratori consistenti.

L'appartenenza etnica e l'aspetto esteriore possono allora divenire una facile occasione di offesa ai beni dell'onore e della dignità personale esprimendo così il disprezzo verso il “diverso”, vero fondamento del razzismo contemporaneo.

Sui social network, aldilà dei casi limite, però il problema è molteplice poiché l’atmosfera estremamente rilassata ed i toni amichevoli che si tengono nei propri post o commenti o comunque pubblicazioni pongono l’agente in una condizione di superficialità tale che può indurre a scrivere dei commenti che possono essere valutati da terzi come diffamatori, magari aggravati da motivi razziali quando non vi era alcuna intenzione nello scrivente.

Pertanto il limite è molto labile e prima di proporre una denuncia sarebbe opportuno discutere col proprio avvocato di fiducia così come, a parti invertite, prima di profondersi in scuse o commentare ulteriormente ciò che è stato accusato come diffamatorio peggiorando la situazione è necessario rivolgersi al proprio legale che potrà valutare le migliori strategie per riportare la pace sociale tra le parti.