L'imputato, nel corso del procedimento penale può negare qualsiasi addebito, anche mentendo, nell'esercizio del suo "ius defendendi", costituzionalmente garantito (art. 24 della Cost.).
L'implicita accusa di falsa testimonianza o di calunnia nei confronti dei suoi accusatori costituisce una conseguenza non voluta e soltanto indiretta dell'atteggiamento difensivo prescelto dall'agente, il cui "animus difendenti", in applicazione della causa di giustificazione prevista dall'art. C.P., esclude la punibilità del reato.
Deve sussistere un rapporto funzionale tra la menzogna e la confutazione dell'imputazione a suo carico, nel senso che l'imputato deve limitarsi ad affermare l'insussistenza, la falsità dell'accusa a suo carico, senza travalicare tale confine con iniziative, non necessarie, dirette a coinvolgere i suoi accusatori in una incolpazione specifica, circostanziata e determinata, che si pone al di fuori dell'economia difensiva, perché nessuna attinenza ha con l'oggetto dell'imputazione a suo carico.
Il reato di calunnia è punito a titolo di dolo, il quale consiste nella volontarietà della condotta attraverso la quale si realizza l'incolpazione e nella consapevolezza che l'incolpato è innocente e che il fatto attribuito ha carattere di reato.
Appare sufficiente, dunque, la consapevolezza di mettere in moto, con la propria condotta, un meccanismo inquisitorio nei confronti di un soggetto innocente.
I due elementi distinti che devono ricorrere entrambi ai fini della sussistenza della calunnia sono:
Quando non vi è la prova della certezza sull'innocenza della persona avverso la quale si è posta l’accusa il reato non può dirsi sussistente.
Da ciò deriva che per la sussistenza del reato di calunnia non deve tenersi conto dell'innocenza dell'incolpato bensì della certezza che il denunciante ha della innocenza di lui, la quale certezza, costituendo un particolare elemento del dolo, deve essere piena ed assoluta al momento della denuncia.
Come noto, affinchè si configuri il dolo di calunnia è necessario che il soggetto agisca intenzionalmente e con la certezza dell'innocenza dell'incolpato.
Il reato di calunnia non può essere sussistente per dolo eventuale.
Perciò la mera negazione di un fatto (che si sa essere vero) non può costituire calunnia neanche dal punto di vista soggettivo.
Concludendo, un cenno sul contiguo tema della prova del dolo: l'orientamento dominante postula che per l'affermazione della responsabilità dell'imputato l'autorità inquirente prima e quella giudicante poi, debbano indispensabilmente acquisire la prova certa che costui abbia accusato la vittima pur essendo consapevole della sua innocenza.
Tale prova, ben può risultare da indizi, ma essi devono comunque fondarsi su circostanze di fatto certe e senza dubbio univoche, in modo che la consapevolezza di innocenza ne risulti in modo logicamente conseguenziale.
Non sussiste dunque il delitto di calunnia se emerge che la volontà calunniosa dell'imputato è "incerta” oppure in funzione dell'esercizio del suo diritto di difesa, ed in relazione alla particolare dinamica che ha caratterizzato lo sviluppo dei fatti. (Corte di Cassazione n.49635/12 ha ritenuto insussistente il reato di calunnia in capo al difensore, il quale, nel ricorso depositato avanti il giudice di pace, ha attribuito ai due agenti la redazione di un falso ideologico, consistito nell'affermazione che i due verbalizzanti "non avevano accertato de visu e personalmente la condotta stradale attribuita all'imputato stesso").